Caritas
Diocesana di Trivento

A cura della Caritas Diocesana di Trivento

 

– Don Antonio Mascia, sacerdote Fidei Donum della diocesi di Trivento, rientrato dal Camerun da pochi giorni. Ci puoi raccontare la situazione sociopolitica che sta vivendo il Camerun e in particolare la missione di Fontem, dove hai operato ultimamente?

 

Dal novembre 2016 è iniziato uno sciopero degli insegnanti di scuole di ogni ordine e grado e dei magistrati nella parte anglofona del Camerun per protestare contro le continue nomine, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, di insegnanti del Camerun francese (che non conoscono l’inglese) nelle scuole della parte inglese del Camerun. Questo fatto ha penalizzato gli studenti di lingua inglese fino ad essere bocciati in quanto non compresi dai professori nominati dal ministero. Lo stesso problema si riscontra nei processi dove gli imputati venivano penalizzati in quanto i giudici di lingua francese non conoscevano l’inglese.

 

 

 

Lo Stato non sembra aver preso subito e seriamente in considerazione questa protesta, anzi ha soffocato con le armi le varie manifestazioni pacifiche della popolazione del Camerun inglese, che così reclamava lo stato federale come sancito dal referendum del 1961. Tanti sono stati i civili uccisi dalle Forze dell’ordine del Governo. Inoltre il Governo ha subito messo in prigione i leaders di questo movimento senza che avessero commesso alcun crimine. La protesta voleva essere e rimanere non violenta. Si è indetto e praticato sin da allora un giorno alla settimana di “città fantasma” con blocco di ogni attività commerciale e di servizi pubblici.
Poi in seguito alle continue reazioni del Governo che soffocava con la violenza queste proteste, la situazione è andata degenerando, creando nella coscienza popolare a questo punto la richiesta dell’indipendenza, fino a diventare guerriglia in varie città e paesi del Sud e Nord Ovest, cioè la parte inglese.

 

Dalla metà di marzo anche Fontem, che era rimasta tranquilla, ha vissuto e sta vivendo momenti di alta tensione. Da quando – il 15 marzo – è stato sequestrato un professore incaricato dal Ministero della Pubblica Istruzione di presiedere gli esami di maturità in una scuola superiore delle nostre parti e poi rilasciato dietro pagamento di un cospicuo riscatto e, dopo che il giorno seguente è stato ucciso dai secessionisti un Delegato del

Governo in una imboscata a pochissimi km da Fontem, la situazione è diventata seria. Sono stati mandati a Fontem soldati dell’Esercito e questo ha provocato immediatamente la fuga della nostra gente, che ha abbandonato le case, rifugiandosi o in città della parte francese o nella foresta presso parenti ed amici. Si sono chiusi negozi ed uffici del Governo (Fontem è una Prefettura), si è cominciato a sparare anche pesantemente intorno alle nostre abitazioni quasi ogni giorno (proiettili vaganti hanno colpito anche la mia abitazione ed il nostro ospedale); tutte le possibili, benché brutte, strade per entrare ed uscire da Fontem venivano bloccate, anche la rete telefonica ed internet non funzionanti, per non parlare delle celebrazioni liturgiche praticamene sospese nella mia chiesa di Belleuh dal 18 marzo, ultimo giorno in cui vi ho celebrato. Per una pesante sparatoria tra secessionisti e soldati dell’Esercito proprio intorno alle nostre abitazioni, non abbiamo potuto celebrare nè Giovedì né Venerdì Santo. Per tutte le celebrazioni, da allora, abbiamo potuto usare solo il vicino (400 – 500 m) Centro Mariapoli, diventato intanto luogo di rifugio per un centinaio di persone tra anziani, bambini e donne.

 

Il 1° maggio viene ucciso, proprio a Fontem, dai soldati dell’Esercito, un bravo infermiere del nostro ospedale, Pierre Tendongmo, dopo essere stato seviziato e torturato, gettandone il corpo nei paraggi della mia abitazione. La Messa che celebreremo per lui davanti alla camera mortuaria, prima di essere trasportato in modo avventuroso nel suo villaggio per la sepoltura, sarà un momento di altissima commozione e profondo dolore per lo staff dell’ospedale! Tutto questo ingenera nelle persone paura, timore, incertezza del futuro anche prossimo!

 

 

 

– Come si è arrivati a questa situazione?

Le origini di questa situazione risalgono ai tempi del colonialismo. Il Camerun è stata una colonia della Germania sin dalla seconda metà del XIX secolo. Dopo la Prima Guerra Mondiale il Camerun è stato diviso tra Francia ed Inghilterra, cui è toccata l’attuale parte Sud e Nord Occidentale del Camerun, che si è sviluppata con una cultura inglese, compreso il sistema scolastico.

Quando negli anni ’60 è iniziato il processo di indipendenza degli Stati Africani, non sapendo cosa fare di questa parte inglese del Camerun, si è chiesto alla popolazione con un referendum cosa volessero: se essere annessi come Stato Federale alla vicina Nigeria o al Camerun. Il popolo ha scelto di essere annesso al Camerun che così è diventato uno Stato Federale composto di due federazioni, la parte francese e quella inglese. Nel 1972 l’allora Presidente del Camerun Ahidjo ha unificato i due Stati, processo continuato e definito col suo successore, Paul Biya, l’attuale 85 enne Presidente, in carica da 35 anni. La parte anglofona è stata penalizzata in tanti aspetti: economico (con servizi ed infrastrutture sempre carenti), politico (si era stabilito che se il Presidente fosse della parte francese, il Primo Ministro venisse da quella inglese, principio mai attuato). Inoltre le risorse del Paese, gran parte delle quali provengono dalla parte inglese, non riportavano vantaggi significativi nella parte inglese. La lingua, come detto sopra, ha continuato a penalizzare il mondo della scuola e della Giustizia. Ci sono state duranti gli anni seguenti manifestazioni che riproponevano il federalismo, mai accolte né prese in considerazione, finché, come dicevo, nel novembre 2016 la situazione ha preso una piega che ha portato all’attuale stato di criticità che potrebbe sfociare in una vera e propria guerra civile.

 

– Come è strutturata la missione?

Dall’agosto 2015 sono stato nominato dal vescovo della diocesi di Mamfe, Mons. Andrew Nkea, Rettore della Rettoria di Belleuh, appena creata come tale. Belleuh è stata la prima missione della Parrocchia di Fontem. Quando questa non esisteva ancora nemmeno come città, Belleuh era una missione dove i Padri Missionari Mill Hill andavano ogni 2-3 mesi dalla parrocchia di Mbetta, distante circa 8 ore a piedi nella foresta fatta di sentieri ripidi in discesa e salita. Dalla seconda metà degli anni ’60, da quando cioè al Movimento dei Focolari fu chiesto dall’allora vescovo di Buea, Mons. Peeters, e dal Fon di Fontem, Defang, di venire a Fontem per recare soccorso ad una popolazione in via di decimazione per la malattia del sonno, la zona si è andata sviluppando con la costruzione dell’Ospedale “Maria Salute dell’Africa”, del Collegio per Scuole Superiori “Maria Sede della Sapienza” e di altre strutture componenti la Cittadella dei Focolari. Fontem è diventata Parrocchia nel 1972; la gente ha cominciato a costruire ed a stabilirsi in questo posto, diventando una cittadina, finché in seguito è diventata sede di Prefettura. Belleuh, situata alla periferia di Fontem, anche si è sviluppata con una popolazione attuale di circa 2.000 abitanti, al cui interno appunto si trova anche la Cittadella dei Focolari che fa un tutt’uno con la popolazione.

Il mio lavoro pastorale attualmente ha riguardato:

1. la Rettoria di Belleuh, intitolata a S. Giorgio, con tutte le normali attività pastorali: Celebrazioni liturgiche, catechesi e catecumenato, Gruppi ecclesiali, attività pastorali condotte con il Consiglio Pastorale ed i tre catechisti, sia nella Missione centrale, che nelle 7 Piccole Comunità cristiane che compongono la Rettoria;

2. Il Collegio “Maria Sede della Sapienza”, come cappellano dei 550 studenti, ragazzi e ragazze di Scuola Superiore, finché è stato aperto. Difatti dal gennaio 2017 si è riaperto solo per brevi periodi e con numero estremamente ridotto di studenti, fino alla chiusura definitiva, il 2 febbraio scorso, giorno successivo alla notte in cui le tre focolarine responsabili del Collegio furono rapite dai secessionisti e tenute ostaggio in un posto isolato poco distante dal Collegio fino al mattino quando furono liberate senza riscatto e senza alcun danno;

 

 

 

3. L’Ospedale “Maria Salute dell’Africa” come cappellano;

 

4. Il Centro Mariapoli, come cappellano per i vari gruppi che nel corso dell’anno lo frequentano per incontri di formazione;

 

5. Il Centro di spiritualità per sacerdoti e seminaristi.

 

– Molta gente è stata costretta a lasciare le proprie case. Dove si è rifugiata e come vive?

Quando arriva l’Esercito in un posto la gente ha paura in quanto molto spesso i soldati usano violenza: bruciano abitazioni, saccheggiano case e negozi, torturano in modo atroce e uccidono i fautori dell’indipendenza di questa zona inglese. Per cui la prima reazione della gente è fuggire, abbandonando case e attività. La gente delle parrocchie della nostra diocesi di Mamfe confinanti con la Nigeria è fuggita, già a fine dicembre, in Nigeria, dove attualmente vive in condizioni drammatiche: si dorme anche per strada, con scarsità di cibo e di assistenza sanitaria. Il nostro vescovo è stato a visitarli, portando conforto ed assistenza materiale, che continua a raggiungere questa gente attraverso personale della diocesi che periodicamente vi si reca. Si parla di 60.000 rifugiati ma la cifra potrebbe essere di molto superiore. Tantissimi hanno cercato rifugio in diverse città della parte francese, presso parenti o amici. Ho notizie di prima mano di famiglie che ospitano 15 – 20 persone in due o tre stanze con difficoltà facilmente immaginabili. Abbandonando le loro case, abbandonano anche i campi con le risorse per vivere e per sostenere la famiglia, con i figli che interrompono spesso gli studi. Altri sono più fortunati in quanto ci sono parenti o amici che permettono ai ragazzi di continuare a frequentare le scuole nella parte francese..

 

Come la Chiesa locale ha risposto a questa emergenza?

Intanto, solo qualche mese dopo l’indizione dello sciopero, nel dicembre 2016 i cinque vescovi della Provincia Ecclesiastica di Bamenda, cioè della parte inglese, hanno inviato al Presidente del Camerun Paul Biya un lungo documento in cui spiegavano le ragioni storiche di questa situazione e chiedevano una udienza, mai concessa.
Anche il 4 ottobre 2017, in seguito ad uccisioni e torture ad opera dei soldati dell’Esercito sui pacifici dimostranti secessionisti del 1° ottobre, hanno scritto un documento denuncia molto forte in cui si condannavano le uccisioni ed i metodi violenti. Anche questo documento non ha avuto risposta dal Governo, ma piuttosto minacce. I cinque vescovi sono stati infatti citati in giudizio accusati di tenere chiuse le scuole e favorire azioni contro il Governo. Il processo veniva regolarmente rinviato, finché è stato annullato!
Dinanzi alla situazione dei rifugiati il vescovo di Mamfe si è subito mostrato attento verso queste persone, andandole a visitare di persona in Nigeria ed organizzando gli aiuti sul posto, cosa che si è rivelata non facile sin dall’inizio. Le offerte della Quaresima di tutte le parrocchie della diocesi di Mamfe sono state destinate per aiutare i rifugiati. Anche la Caritas Nazionale sta contribuendo a sostenere questa situazione di estremo disagio. Approfitto di questa domanda per ringraziare, a nome del vescovo e della diocesi di Mamfe, la nostra diocesi di Trivento che, attraverso la Caritas diocesana, si è mostrata subito sensibile a questa emergenza. A fine gennaio infatti rivolsi un appello a don Alberto Conti, direttore della Caritas di Trivento, e subito inviò una cifra di 5.000 euro. Poi anche la diocesi di Trivento ha disposto che le offerte raccolte nelle parrocchie durante la Quaresima di Fraternità 2018 venissero destinate ai rifugiati della diocesi di Mamfe. E’ un gesto di fraternità e di solidarietà che, oltre ad essere un aiuto materiale, esprime la comunione tra le Chiese locali.

 

 

– La diocesi di Trivento, tramite la Caritas, nel mese di febbraio ha inviato una prima somma di €5.000,00 per far fronte all’emergenza. Oggi, tramite bonifico bancario, ha versato sul conto della diocesi di Mamfe altri €8.000,00, frutto della raccolta di solidarietà effettuata in occasione della Quaresima. Come saranno destinate queste somme?

Ho inoltrato questa domanda all’Economo della diocesi di Mamfe, Rev. Dieudonnè Akawung, che ha risposto che con i 5.000,00 euro inviati a febbraio e con gli 8.000,00 inviati in questi giorni stanno aiutando i rifugiati in Nigeria ed in Camerun per: cibo e vestiti, assistenza sanitaria con medicine e necessità in questo settore, sistemazione nelle abitazioni dove sono rifugiati, e sistemazione delle loro case di origine.

 

– La guerra è un’esperienza terribile per tutti, in particolare per i più fragili e deboli.

Infatti dobbiamo dire che i primi ad essere penalizzati sono stati i bambini e giovani, costretti ad interrompere gli studi, dal novembre 2016, dalla Scuola Materna fino all’Università. Lo sciopero che si pensava durasse, invece si è protratto a lungo, praticamente per molti fino alla fine dell’anno scolastico, con conseguenze negative sia sui ragazzi che hanno perso l’anno scolastico, sia sui genitori che avevano pagato le tasse scolastiche o le rette dei collegi. Poi molti di quegli studenti che hanno potuto si sono inseriti nelle scuole della parte francese. Altre scuole della parte inglese si sono parzialmente riaperte, altre no, altre a singhiozzi, penalizzando comunque il rendimento e l’esito scolastico. Questa situazione ancora continua in tante zone dove le scuole sono attualmente ancora chiuse, come a Fontem. Naturalmente anche la crescita umana di questi ragazzi è penalizzata in questa situazione: saranno capaci, bambini delle Elementari ma anche delle Scuole Superiori, di riprendere gli studi qualora fossero in condizioni di farlo, dopo uno o due anni di interruzione? Cosa stanno facendo in questo periodo? Quelli che hanno cercato altre attività si sono disaffezionati dallo studio: come sarà la loro vita domani e quella della loro generazione senza l’istruzione?
In questa situazione di diaspora chiaramente i bambini e gli anziani con i malati sono penalizzati maggiormente. Tanti bambini, ma anche anziani, sono stati mandati dai genitori presso parenti o amici in zone più sicure, spesso sono città lontane. Anche nel nostro Centro Mariapoli di Fontem ci sono circa 40 bambini, dai neonati ai bambini di 11-12 anni, oltre ad alcune anziane e donne incinte. Quale traccia lascia questa triste esperienza sulla loro psicologia? Quanti di essi, che sono rifugiati non solo nelle città ma molti in zone isolate come nelle foreste o villaggi interni, soffrono per scarsità di cibo e di medicine? Con gli ospedali o chiusi o lontani o difficilmente raggiungibili o di difficile accesso per mancanza di soldi ( in Camerun come in tanti Paesi dell’Africa l’assistenza sanitaria è a pagamento, dalle medicine, alle consultazioni fino agli interventi chirurgici ), quanti perdono anche la vita o rischiano di perderla!

 

 

– Quanto ti è costato lasciare la missione, le persone con le quali hai condiviso parte della tua vita?

In quanto sacerdote “fidei donum” ( prete diocesano in “prestito” per un tempo determinato ad un’altra Chiesa locale ) ero consapevole di dover rientrare nella mia diocesi di origine. Avendo inoltre già prestato servizio pastorale per 7 anni – dal 1995 al 2002 – e poi ancora 6 anni – dal febbraio 2012 ad oggi – nella diocesi di Mamfe, servizio regolato dalla CEI con contratti di 3 anni rinnovabili, riconosco di aver già superato il tempo di servizio permesso ad un “fidei donum” ad un’altra diocesi. Inoltre il mio “contratto” stabilito già con S.E. Mons. Scotti quando sono partito 6 anni fa, era già scaduto nel febbraio 2017. L’attuale vescovo S.E. Mons. Palumbo mi ha concesso un ulteriore tempo anche per dare la possibilità al vescovo di Mamfe di trovare un sostituto. Sarei dovuto tornare agli inizi di luglio prossimo. Poi la situazione sociopolitica è degenerata, è diventata un po’ rischiosa e pericolosa, soprattutto per l’impossibilità di uscire ed entrare a Fontem, per i continui quotidiani spari proprio intorno alle nostre abitazioni. Così Mons. Palumbo mi ha chiesto espressamente di tornare appena possibile. Sono dovuto partire nel giro di qualche ora, preparando valigie e senza poter fare le consegne della Rettoria, raggiungendo con un buon tratto a piedi l’unico posto da dove ancora qualche moto partiva per raggiungere la più vicina città della parte francese.
Per cui ero preparato a partire. Nessuno è indispensabile ed alla fine siamo tutti servi inutili! E’ stato invece doloroso il “modo” con cui ho dovuto lasciare questa gente, la maggior parte della quale fra l’altro aveva abbandonato il territorio. Tutti avevano lasciato le abitazioni e si potevano contare in alcune decine le persone che erano rimaste. Ma andare senza salutare, in Africa è semplicemente assurdo ed incomprensibile. Anche se una persona sta pochi mesi in un posto, non può partire senza un saluto ufficiale, un “send off”, come è definito questo saluto. Io non ho potuto salutare neanche il catechista, nè il presidente del Consiglio Pastorale, neanche i miei amici più vicini con cui ho condiviso vita ed esperienze, neanche i sacerdoti della diocesi né quelli della forania, e nemmeno il parroco di Fontem, cui mi lega una profonda amicizia, per la difficoltà di raggiungerlo in parrocchia e per il tempo che stringeva. Ho potuto, una volta a Douala per prendere l’aereo, salutare il vescovo che era lì di passaggio! Dovevo quindi in 5-6 ore – per evitare l’arrivo a Dschang di notte – preparare le mie valigie, celebrare ancora la Messa per consacrare molte particole perché almeno il gruppo rimasto non restasse privo dell’Eucarestia per un po’ di giorni, raggiungere con un’ora e mezza a piedi il posto dove la moto con altre due ore mi avrebbe portato a Dschang, la città francese distante 40 km, per una strada ovviamente in terra battuta, a tratti pietrosa e sbarrata in molti tratti con alberi di traverso per impedire il passaggio delle macchine. Ho offerto questo dolore per la pace in questa bella terra e per questa gente con cui ho vissuto e lavorato: una esperienza di comunione, di corresponsabilità, di maturità ecclesiale, di crescita reciproca, di arricchimento vicendevole dei propri valori e culture!

 

– Molti giovani dell’Africa abbandonano la loro terra causa di guerre e miserie. Cercano pane e lavoro. Il più delle volte trovano cuori e porte chiuse.

Con la breve e modesta esperienza che ho avuto in questa zona del Camerun, posso dire che tanti problemi che vivono molti Paesi in Africa hanno le loro radici nel colonialismo europeo. Ci saranno stati anche aspetti positivi del colonialismo, ma certamente anche tanti aspetti problematici, tra i quali il tracciare i confini delle Nazioni senza un criterio rispettoso della popolazione indigena, come nel caso del Camerun inglese, causa remota di tanti conflitti. Inoltre è sotto gli occhi di tutti lo sfruttamento delle risorse e delle persone (vedi i bambini del Congo utilizzati per l’estrazione del prezioso coltan), oltre che il neocolonialismo politico-economico ancora esercitato da varie nazioni.

L’Europa infine non vede o non vuol vedere le drammatiche situazioni di tanti Stati africani. Un attentato in Europa, da condannare assolutamente senza se e senza ma, tiene, giustamente, le prime pagine dei giornali per giorni, ma vorrei che i mass media parlassero anche, raccontando la verità, di quello che succede nella terra africana. Come per esempio: in Nigeria Boko Harram dal 2000 ha ucciso oltre 11.000 civili con attentati settimanali in chiese e piazze;  in Camerun, da oltre un anno e mezzo, si ammazzano civili dopo averli torturati, si spara sulla gente che manifesta pacificamente, si mettono in carcere i leaders di un movimento che reclama i propri diritti, si seppelliscono in fosse comune decine di cadaveri senza che neanche le famiglie sappiano dove sono i resti dei loro figli… e si potrebbe continuare l’elenco con l’attuale situazione della Repubblica Centroafricana, del Congo, del Burundi… e l’Europa che fa? Spesso queste notizie non sono affatto riportate o riportate, ogni tanto, in quinta pagina di un quotidiano! Per non parlare del commercio delle armi da parte di Nazioni europee! E dopo tutto questo, quando gli africani vengono da noi per cercare una vita che assomigli ad una esistenza umana, noi non li vogliamo, ci danno fastidio, li vogliamo rimandare. Capisco che è una situazione socio-politica nuova da affrontare e non in modo superficiale, ma un conto è cercare soluzioni da parte dei politici a tutti i livelli, soluzioni rispettose della dignità di queste persone, con diritti e doveri da rispettare, altro è chiudere gli occhi, giudicare, volersi liberare di queste persone! E noi europei abbiamo una tradizione di valori cristiani che dura all’incirca da 2000 anni! Che ne abbiamo fatto del Vangelo? Quando poi questa chiusura (non voglio parlare di razzismo!) è praticata da cristiani che vanno a Messa ogni domenica, viene da chiedersi che tipo di Vangelo ascoltiamo e che tipo di vita cristiana conduciamo!

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